Della Radioestesia e del Sentire con il Cuore

Una questione che spesso ci viene sottoposta in Associazione è relativa al perché chiamiamo il nostro percorso di sviluppo del potenziale dell’uomo “Sentire con il Cuore” anziché “radioestesia”. Potremmo semplicemente rispondere che non sono la stessa cosa ma è una affermazione fin troppo riduttiva. L’argomento richiede un commento ben più esaustivo e profondo.

Il termine “radioestesia” è moderno e fu coniato negli anni ‘20 del XX secolo da un bravo pendolista1 francese, l’abbé Bouly, unendo il latino “radius” (raggio) e il greco “estesia” (estensione), per indicare la particolare ed aumentata sensibilità che travalica i cinque sensi2, a cui l’uomo può pervenire mediante l’uso di appropriati strumenti, quali pendolini e forcelle.

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Bouly sapeva bene che l’unico e vero strumento è il corpo vivo, ma sosteneva l’inevitabile necessità di amplificare il segnale di percezione attraverso utensili idonei. Il termine, quindi, all’inizio servì a classificare e ad accorpare le tecniche espressamente strumentali con cui espandere il “raggio di azione” personale.

Bouly, inoltre, voleva certamente indicare con il termine “radioestesia” il suo modo specifico di usare il pendolino, per distinguerlo non solo dalle modalità del passato ma anche da quelle contemporanee troppo velate di esoterismo.

Tuttavia con l’andar del tempo, tale sostantivo finì per assumere una valenza generale includendo anche le metodologie che, pur non impiegando dispositivi di alcun genere, cercano di pervenire ai medesimi risultati. Così ad esempio il palming, il test muscolare e la kinesiologia, solo per citarne alcuni, sono diventati “radioestesia” nel momento in cui la loro applicazione ha sconfinato dagli ambiti per cui sono stati originariamente concepiti.

Quanto agli scopi, già enunciati dallo stesso Bouly, essi avevano a che fare per lo più con la ricerca di cose nascoste, di acqua, di petrolio, di metalli preziosi e con l’individuazione di cure appropriate per i pazienti. Oggi sono stati sostituiti e inclusi in un più generico “percepire le energie sottili”, dando comunque per scontato che ciò sia possibile quasi soltanto mediante strumenti e relegando altre tecniche pur contemplate, come appunto il test kinesiologico, ad un ruolo secondario, proprio perché non fa uso di utensili.

Ma in tutto ciò è stato dimenticato un elemento fondamentale: lo strumento è l’uomo e quindi è nel suo corpo che questa possibilità se ne sta rintanata, non certo nel pendolino; è una potenzialità insita nella natura dell’uomo e che non ha alcun bisogno di un apporto esterno. A meno che, come è stato fatto – consapevolmente o meno – essa venga arbitrariamente attribuita ad un qualche ente esteriore nei confronti del quale si crea così una dipendenza.

Se viene concessa da qualcosa che sta fuori dall’uomo, infatti, significa che non è direttamente accessibile né utilizzabile e può essere data e tolta a piacimento. Da qui la necessità di improbabili “iniziazioni” per conferirla a chi se ne rende meritevole e di un mezzo per dominarla, quale il pendolino o la forcella.

Eppure spesso il rabdomante, colui che cerca e trova l’acqua sentendola scorrere sotto di sé, nasce, specialmente in luoghi dove c’é molta acqua nel sottosuolo, con questa particolarità già ben sviluppata e riesce spontaneamente a riconoscere la presenza di liquidi sotto i suoi piedi, senza che ne sia stato investito da una qualcosa o da un qualcuno, a riprova del fatto incontestabile che tale “potere” è naturalmente presente nell’uomo.

Qui sta il punto focale: perché esiste nonostante ne siamo inconsapevoli? Che cosa ci sta a fare dentro di me anche se non me ne rendo conto? L’unica conclusione ragionevole cui si può giungere è che questa capacità inespressa è una parte dell’uomo che l’uomo non conosce e che considera irraggiungibile, perché così gli è stato detto; una parte che molto tempo fa si esprimeva perfettamente, ma alla quale ha rinunciato.

Del resto l’uomo non sa più neppure di essere tale, poiché in ogni istante si identifica – e viene incitato a farlo – con l’insieme di finzioni legali e commerciali che gli sono state fatte indossare come un vestito, da chi cerca di impossessarsi del suo vero essere. In questo modo, separato da se stesso, è dominabile e controllabile. Senza di essa siamo quindi incompleti, parziali. O meglio, è proprio la nostra separazione interiore e il nostro incessante proiettare all’esterno che ci impediscono di accedervi, che ci tengono lontano da essa. Non va quindi “risvegliata” dal torpore, va invece liberata dalle catene che la imprigionano. Affinché torni ad esprimersi in tutta la sua bellezza e meraviglia, è necessario abbattere i muri invisibili con cui l’uomo, dimentico di sé, ha costruito la prigione in cui si trova volontariamente.

Il termine “radioestesia” quindi, si rivela fuorviante, nella formulazione iniziale come nelle metamorfosi successive, poiché implica separazione e svilisce e riduce la portata di questa potenzialità senza nome.

Volendo cercare di definire in qualche modo questa capacità latente, forse è più facile dire cosa non è. Non è “percezione” poiché non dipende da uno stimolo che in qualche modo “eccita” un recettore, come accade per i sensi e non è neppure connessa ad un particolare organo. Come in parte dimostra il test kinesiologico, è possibile “vedere l’invisibile” o “rivelare le cose nascoste”, con qualunque parte del corpo, anche se le strutture che lo permettono sono precisamente localizzate in certe aree specifiche. E per gli stessi motivi non è un “senso” anche se viene assimilata all’idea di un inafferrabile “sesto senso”.

E allora che cos’é? È l’eco della nostra relazione con l’Origine, che condividiamo con tutto ciò che esiste e che ci vogliono portar via: tutto viene dalla stessa sorgente, quindi tutto risuona con tutto, tutto comunica incessantemente con tutto, tutto si relaziona con tutto.

La vita è relazione. Ad esempio, l’atto dell’inspirare aria nei polmoni e l’atto di espirarla, di per sé, separatamente non ci consentirebbero di ossigenare il sangue e far funzionare i processi del corpo. Ciò accade solo se c’é una precisa relazione tra inspirazione ed espirazione. Tale rapporto è precisamente la pausa tra i due atti, lo spazio che li unisce, che è stato chiamato “terra di mezzo”, “luogo in cui sono custoditi tutti i misteri” o più semplicemente “ritmo”.

Nel nostro essere, quel luogo, quella terra è il cuore; non il muscolo cardiaco, né il vortice o il meridiano, ma il nostro vero centro immortale ed eterno, il qualb o qutuf dei sufi, spesso indicato con la solo lettera Q . È proprio lì, quando ci ritroviamo in esso, che torniamo ad essere uno con l’Origine e con ogni altra cosa. La nostra condizione instabile, tuttavia, ci porta poi inesorabilmente a separarci di nuovo poiché la vita, in questo livello e strato che chiamiamo “fisico” (e in quello contigui), richiede che l’uno, sospinto verso una maggiore densità, si suddivida in tre ma quando si interrompe la caduta, il tre separato cessa di esistere e si riassorbe nell’uno indiviso.

Allo stesso modo, quando annulliamo la separazione, in quell’istante, ridiventiamo uno con tutto, ridiventiamo tutto, sentiamo di esserlo con ogni fibra, cellula e molecola del corpo, con il corpo fisico, il campo energetico, con il nostro essere eterno e nessuna conoscenza ci è più preclusa.

Allora e solo allora, in quell’attimo eterno, “sentiamo” davvero ogni cosa come sentiamo noi, sentiamo di essere ogni cosa, siamo ogni cosa e le domande e le separazioni illusorie scompaiono in una totale consapevolezza e comprensione, in cui non c’é più dentro e fuori, sopra e sotto, bianco e nero, bene e male, davanti e dietro, tempo e spazio.

“Sentire con il Cuore” dunque non è qualcosa che “si fa” o “si riceve”, è lo stato incessantemente costante e continuamente variabile dell’essere al centro di sé stesso, nella sua piena manifestazione al di là di ogni illusione, di ogni vacuità e di ogni polarità.

Ben oltre le idee di giusto e di sbagliato c’é un campo. Ti aspetterò laggiù” (Rumi)

 

NOTE

1Utilizzatore di pendolini. Nell’impiego di tale appellativo non c’è alcun intento ironico o sarcastico, solo la necessità di individuare chiaramente il tipo di attività svolto.

2Secondo Rudolf Steiner i “sensi” sarebbero addirittura dodici, ma sappiamo usarne soltanto cinque.

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